Amina e le storie di ogni giorno
Mi chiamo Amina, ho 29 anni e vivo a Lugano. Quello che sto per raccontare non è un episodio isolato, ma un frammento della mia quotidianità. Una quotidianità in cui a volte basta un semplice indumento per scatenare pregiudizi e parole che feriscono.
Era un giorno come tanti, stavo viaggiando in autobus con mio fratello più piccolo, lui ha 21 anni. Eravamo seduti, chiacchieravamo, senza dare troppo peso alle persone attorno. Sullo stesso autobus c'era un uomo di circa sessant'anni, seduto accanto a una donna più giovane. Io non lo avevo notato, ma mio fratello sì. Ha sentito chiaramente quell'uomo dire alla donna accanto a lui: "Guarda quella che c'ha in testa cinque asciugamani."
Non ho sentito il commento. Ero distratta, immersa nei miei pensieri. Ma mio fratello l'ha sentito. E si è arrabbiato. Così tanto che, una volta scesi dal bus, mi ha chiesto furioso se avessi sentito cosa era stato detto su di me. Io ho scosso la testa, sorpresa dalla sua reazione. Lui, invece, era sconvolto, indignato, come se quell'offesa fosse stata lanciata contro di lui.
L'ho guardato e ho sorriso. Non perché il commento non mi ferisse, ma perché sono abituata. Gli ho detto di non preoccuparsi, che purtroppo certe cose capitano. Ma dentro di me, sapevo che non era giusto. Perché una persona dovrebbe essere giudicata per un pezzo di stoffa? Perché un velo dovrebbe trasformarmi in un bersaglio?
Il velo per me è una scelta, un simbolo di cui vado fiera. Ma spesso, agli occhi degli altri, diventa un'etichetta, un pretesto per considerarmi oppressa o diversa. Io non sono diversa. Sono semplicemente me stessa.
Non è stata la prima volta. Non dimenticherò mai quando, a 15 anni, ho sperimentato la crudeltà del pregiudizio per la prima volta. Ero a scuola, nei corridoi durante la pausa tra una lezione e l'altra. Non portavo ancora il velo. Una ragazza della mia età si è avvicinata e mi ha chiesto, con apparente curiosità: "Ma tu sei musulmana?" Ho risposto con semplicità: "Sì." E lei, senza esitazione, ha riso e ha detto: "Allora sei una musulmana di m***a."
Ricordo ancora quel momento come un pugno nello stomaco. Mi si è formato un nodo in gola, le parole mi sono rimaste bloccate. Non ho saputo rispondere. Lei è andata via, senza voltarsi indietro, senza rendersi conto del peso delle sue parole. Io sono rimasta lì, immobile, a chiedermi cosa avessi fatto per meritarmi quell'insulto.
Oggi, ripensandoci, so che non era colpa mia. So che il problema non era in me, ma in un pregiudizio radicato, in una visione distorta che alcuni hanno della mia fede e della mia identità. La gente spesso giudica senza conoscere, condanna senza capire.
Ho imparato a non lasciare che questi episodi definiscano chi sono. Io sono più delle loro parole. Sono più dei loro sguardi. Sono una donna che ha scelto di essere se stessa, senza paura.