Erina, insultata in classe
Avevo 13 anni e frequentavo le scuole medie a Locarno. Quel giorno, durante la lezione di storia, la professoressa chiese alla classe se qualcuno conoscesse la storia della religione islamica. In quel periodo stavamo studiando il popolo arabo, e io, nonostante la mia timidezza, decisi di farmi avanti. L'Islam è la mia religione e volevo condividerne la storia con i miei compagni.
A casa, preparai con cura la mia ricerca. Mi impegnai a trovare le parole giuste per spiegare la mia fede in modo chiaro e rispettoso. Quando arrivò il giorno della presentazione, mi feci coraggio e iniziai a parlare davanti alla classe. Ma mentre parlavo, sentii una voce bisbigliare insulti. Un mio compagno stava deridendo me e la mia religione.
La professoressa lo sentì e lo riprese, ma la classe sembrava dalla sua parte. L'atmosfera si fece pesante. Il loro silenzio e i loro sguardi complici mi fecero sentire ancora più sola. Io non risposi, ma dentro di me mi sentii spezzata. Non solo ero stata insultata, ma mi resi conto che molti dei miei compagni assecondavano quell’atteggiamento, anziché sostenermi. Già prima di quell'episodio mi sentivo diversa per via della mia religione, ma in quel momento la diversità diventò un motivo per essere umiliata.
Un altro degli episodi che ricordo in maniera più nitida è questo:
Avevo 18 anni e frequentavo il liceo. Era il periodo del Ramadan, il mese sacro per noi musulmani, e stavo digiunando. Durante una pausa tra le lezioni, i miei compagni iniziarono a prendermi in giro.
"Ma bevi qualcosa, dai!" dicevano ridendo. "Tanto c'è il tetto, Dio non ti vede!"
All’inizio cercai di ignorarli, ma le prese in giro continuarono. Poi, uno di loro aggiunse con tono beffardo: "Ah, è vero, tu non puoi neanche mangiare la carne di maiale!" E subito dopo un altro rincarò la dose: "Voi venerate così tanto il maiale che non lo potete mangiare?"
Infine, un ultimo commento arrivò con un sorriso sarcastico: "Ma dai, beviti l'alcol, tanto Dio non ti vede se sei al chiuso!"
In quel momento, mi sentii profondamente ferita. Avrei voluto rispondere, spiegare loro cosa significasse per me il Ramadan, cosa significassero le nostre regole alimentari, ma mi bloccai.
Perché dovevo giustificare qualcosa che faceva parte di me? Più cercavo di trovare le parole giuste, più mi rendevo conto di quanto fosse ingiusto doverlo fare. Non ero io a dovermi spiegare, erano loro a dover imparare a rispettare. Intanto, però, soffrivo.
Col tempo, ho capito che questi episodi nascono dall'ignoranza. Le persone spesso vedono l’Islam come qualcosa di estraneo, perché è la religione di una minoranza. I pregiudizi si trasmettono, molte volte, all’interno della famiglia o dai media, senza che le persone si prendano il tempo di informarsi davvero. Se cresci in un ambiente aperto, impari a rispettare tutte le fedi. Ma se cresci con l’idea che l’Islam sia "strano" o "nemico", rischi di discriminare senza neanche rendertene conto.
Mi chiamo Erina, sono nata e cresciuta in Ticino, ma la mia famiglia ha origini dal Kosovo. Spero che raccontare la mia storia possa far riflettere. Perché il rispetto nasce dalla conoscenza.